giovedì 2 ottobre 2008

Confusione: il piano dialettico e il piano politico

Spesso si sente dire che la politica è un teatrino. Definizione che ho sempre rifiutato, almeno fino al momento in cui non ho potuto toccare con mano che, in politica, non conta cosa dici quanto contano le parole che altri ti mettono in bocca.

Mi spiego con un esempio: all’ultimo consiglio comunale, ho terminato il mio intervento dichiarando che, per risolvere i problemi emersi con la comunità musulmana, come per tutti i problemi, “il dialogo è non solo possibile, ma necessario, vorrei dire obbligatorio. Ma non a tutti i costi né a qualsiasi condizione“.
Pochi minuti dopo mi è stato detto che io, di fatto, ho negato il dialogo.

L’opposizione aveva proposto una mozione affinché il consiglio comunale creasse un tavolo di dibattito e confronto con i giovani musulmani dell’associazione Seconda Generazione.
Argomento “caldo” su cui ho deciso di dire anche io quello che pensavo - allontanandomi momentaneamente dalla postazione di Presidente del Consiglio, rispettando l’imparzialità del ruolo - e svolgendo la mia funzione di consigliere, come potete vedere nel video pubblicato.

Le mie osservazioni, già espresse nell’intervento nel blog, sono state fraintese e volutamente strumentalizzate dall’opposizione. Cioè, non si è voluto cogliere il contenuto dell’intervento. Ma piuttosto scambiare delle osservazioni per un atto politico.

Temo, infatti, che alcuni consiglieri abbiano confuso il piano personale e dialettico con quello politico.

Ribattono a quello che si dice come se tutto avesse una dimensione politica e, al contrario, non propongono alcuna alternativa agli atti politici. Forse perché non ne sono in grado? Mi rifiuto di crederlo.
Certo che, non si può continuare solo con dibattiti, discussioni, tavoli chiarificatori senza alcuna proposta concreta.

Così anche i temi della libertà di culto, della laicità dello stato, del rispetto dei diritti fondamentali e della parità uomo donna - tutti valori che stanno alla base del nostro vivere civile - si sono trasformati in una questione banalmente politica.
Una strumentalizzazione per dipingere una situazione in cui c’è la destra cattiva, che impedisce ai musulmani di pregare e la sinistra buona, che si mette totalmente in gioco per garantire il diritto medesimo.

Purtroppo tutto questo è un errore:
a) perché il consiglio Comunale di Treviso non è certamente il luogo giusto per parlare di tematiche che riguardano Costituzione, immigrazione, equilibri tra Stato e Chiesa, ecc.
b) perché la compattezza della minoranza è scricchiolata pesantemente con il rischio di reiezione della mozione già dai propri banchi.
c) perché dopo due ore di (inutile?) dibattito il proponente ha ritirato l’argomento

Pochi giorni fa Michele Serra su Repubblica ha scritto: “Se la parola-totem della sinistra, da molti anni a questa parte, è "complessità", a costo di far discendere da complesse analisi e complessi ragionamenti sbocchi politici oscuri e paralizzanti, comunque poco intelligibili dall'uomo della strada, quella della destra (vincente) è semplicità.”

Credo che i cittadini di Treviso meritino e si aspettino altro.

Mi rammarico di questo scivolone per due ragioni:
Anzitutto perché i cittadini ci hanno eletto per discutere dei loro problemi concreti e ci chiedono quindi, come amministratori locali, semplicemente di lavorare per migliorare la qualità della vita quotidiana.
Secondo perché il momento sociale ed economico che viviamo imporrebbe a tutti una concretezza che, al momento attuale, mi pare ancora tutta da costruire.

Prendo comunque un impegno, quello cioè di comunicare in modo più chiaro e diretto possibile il mio pensiero, in modo che non venga frainteso. Confidando che le minoranze prendano l’impegno ad ascoltare prima di giudicare.

Renato Salvadori