venerdì 12 dicembre 2008

Regali di Natale terapeutici

Come ogni anno, in questa stagione,si comincia a parlare di regali Natalizi, si fanno calcoli sulle spese e sui bilanci familiari e i giornali si “buttano” a prevedere cali o incrementi della spesa, segnalando gli oggetti da non perdere, i regali più graditi, le mode del momento.
Forse, come ogni anno, quasi tutti, ci ripromettiamo di rallentare quella frenesia consumistica che ci ha portato a vivere il Natale come un momento sempre più rivolto al baratto dei regali.
Da tempo ormai ci imponiamo di "fare solo pensierini", di recuperare il vero spirito della festività, riscoprendone i valori genuini.
Inoltre, quest' anno per l’incombenza della crisi, ci si ritrova a fare conti ancora più precisi e la volontà di ridimensionare la spesa è ancora più forte.
Come sempre però, la realtà è più fantasiosa delle previsioni.
Negli Stati Uniti, Paese in cui la crisi reale ha già iniziato a farsi sentire in modo concreto, è avvenuto qualcosa di particolare. Come ogni anno si è celebrato il "Black friday", cioè il tradizionale venerdì di grandi acquisti che segue il Giorno del Ringraziamento, e che porta questo nome, venerdì nero, non in senso negativo, ma perché è il giorno in cui i negozianti iniziano a guadagnare uscendo dal rosso nei conti (si stima venga realizzato quasi il 40 % dell'introito annuale).
Celebrazione che, addirittura, è finita in tragedia a New York quando alle 5 del mattino, ora di apertura di una nota catena di supermercati, più di 2000 persone in attesa spasmodica di entrare, hanno travolto un giovane commesso in una ressa senza precedenti (il ragazzo è deceduto e altre otto persone sono rimaste ferite).
Perché tanta fretta per entrare?
Perché quest'anno i negozi e le catene Americane hanno deciso di offrire sconti particolari su prodotti limitati (cosa che avviene ogni anno ma che quest'anno è stata fortemente incentivata) attirando così folle di persone che volevano assolutamente risparmiare, ma non avevano nessuna intenzione di rinunciare alla gioia del regalo.
Ebbene, la gente americana, nell'anno della grande crisi, non ha speso meno. Hanno evitato debiti e finanziamenti, comprando il più possibile in contanti, ma non hanno voluto cedere alla crisi. Hanno assaltato discount e negozi dove gli sconti erano maggiori.
Non voglio fare considerazioni sulla crisi economica, anche se è necessario ricordare che comunque molti ritengono che quel venerdì non sia stato l'inizio delle spese natalizie americane bensì la chiusura e, anche se venerdì di fatto c'è stato un aumento delle vendite, pare che nella totalità si sia riscontrato un calo generale della spesa.

Ma questa frenesia nell'acquisto è solamente risultato del consumismo convulsivo e folle?
Io credo ci sia di più.

Credo che tutti, alla fine dei conti, abbiamo necessità di concederci qualcosa di gratificante, magari anche superfluo, per noi e per i nostri cari.
Forse perchè, fare regali e acquisti di varia natura, proprio così superfluo non è.
Proprio in un periodo così particolare, sorge la voglia di non cedere al pessimismo ma anzi, di esorcizzarlo, attraverso l'acquisto di qualcosa che riesca a darci un breve momento di gioia e spensieratezza. Forse è terapeutico spendere un pochino di più a Natale per affrontare, più sereni, le incombenze del resto dell'anno.

Quindi, senza esagerare, evitando di far debiti così consistenti da appesantire il resto dell’anno, rimanendo con i piedi per terra non neghiamoci il gusto di comprare e regalare qualcosa di bello per noi e i nostri cari.
Oltrechè piacevole aiuterà l’economia e renderà più lieve il momento economico sfavorevole.

mercoledì 26 novembre 2008

mercoledì 12 novembre 2008

I giovani: facciamo incontrare quelli di oggi e quelli di allora

I giovani protestano non perché credano in qualcosa, ma perché non hanno voglia di fare niente. Invece che andare a scuola a imparare, preferiscono stare stravaccati per terra a fumare, ad ascoltare musica -sempre che quel rumore si possa ancor chiamare musica - e rimanere teste vuote.

Hanno abbigliamenti sempre più indecenti. Capigliature ridicole. Posture scomposte e un linguaggio incomprensibile.
Bevono tanto, forse troppo e assumono sostanze stupefacenti fin da ragazzini.

Sono buoni a nulla e, c’è da scommetterlo, non combineranno nulla di buono nella propria vita.

Probabilmente quasi tutti, in qualsiasi epoca, hanno sentito da giovani i padri parlare così. Chi ha attraversato fasi storiche di cambiamento sociale, come il ‘68, ha subito commenti per il proprio taglio di capelli, per i propri progetti sul futuro, per la musica che ascoltava ecc.

Eppure siamo tutti cresciuti facendo insegnamento delle esperienze e soprattutto di quegli “errori di gioventù” che sì talvolta influenzano una vita intera, ma che tanto fortificano carattere e tempra di donne e uomini.

Non voglio fare l’avvocato difensore dei giovani per il semplice motivo che sono convinto non ne abbiano bisogno. Soprattutto in questo particolare momento in cui i ragazzi sono al centro dell’attenzione mediatica per le contestazioni in piazza.

Credo che, in generale, sia di scarsa utilità parlare dei giovani, perché finiremo inevitabilmente a stabilire non solo le regole secondo cui noi crediamo debbano improntare il loro comportamento, ma anche il modo in cui devono interpretare e fare proprie quelle regole.

Ma abbiamo titolo per ciò? Soprattutto ci conviene farlo?

Forse più che parlare dei giovani, dovremmo parlare con i giovani perché solo ascoltandoli e capendoli potremmo evitare di cercare di sostituire i nostri valori ai loro.

Questo capita perché pensiamo che i nostri valori siano scolpiti sulla pietra, siano giusti e inamovibili, immodificabili. Perché dimentichiamo ciò che siamo stati e ciò che erano i nostri padri: abbiamo dimenticato che i nostri primi capelli lunghi infastidivano i nostri genitori almeno quanto atteggiamenti e mode dei nostri figli infastidiscono noi. Abbiamo dimenticato che anche ai nostri tempi, droga e sballo erano per alcuni all’ordine del giorno e quanti nostri amici hanno purtroppo esagerato, finendo male.
I nostri valori si sono scontrati con quelli dei nostri padri e oggi tocca ai nostri figli e noi siamo dall’altra parte della barricata. Guardando le cose da questo punto di vista ci rendiamo conto che non esistono valori scritti sulla pietra se non quelli riferiti alla dignità, al rispetto ed ai diritti umani. Quei valori per cui proprio noi, da giovani, abbiamo lottato.

Forse di questo è utile parlare con i nostri giovani, non per imporre, ma piuttosto per confrontarci sulla base di quella diversa sensibilità che, da sempre, divide le generazioni.

I giovani sono maleducati? Ascoltiamoli di più e forse urleranno di meno. Non hanno rispetto per sé stessi e per gli altri? Costruiamo prospettive in cui possano credere e per cui valga la pena sacrificarsi. Sono concentrati sul tutto e subito da consumare con ingordigia? Diamogli concreto esempio, col nostro comportamento, che si può essere diversi.
Non facciamoci prendere dalla paranoia di dover cambiare il mondo. Basta semplicemente aggiustarlo un po’.

Cominciamo con il facilitare la vita a chi lavorando, diventa genitore. Fornendo modelli che, a partire dal nostro comportamento di “ grandi” , siano comprensibili ed “ecologici”.

Scopriremo alla fine che nella partita potremmo ricevere molto più di quanto non diamo.

giovedì 2 ottobre 2008

Confusione: il piano dialettico e il piano politico

Spesso si sente dire che la politica è un teatrino. Definizione che ho sempre rifiutato, almeno fino al momento in cui non ho potuto toccare con mano che, in politica, non conta cosa dici quanto contano le parole che altri ti mettono in bocca.

Mi spiego con un esempio: all’ultimo consiglio comunale, ho terminato il mio intervento dichiarando che, per risolvere i problemi emersi con la comunità musulmana, come per tutti i problemi, “il dialogo è non solo possibile, ma necessario, vorrei dire obbligatorio. Ma non a tutti i costi né a qualsiasi condizione“.
Pochi minuti dopo mi è stato detto che io, di fatto, ho negato il dialogo.

L’opposizione aveva proposto una mozione affinché il consiglio comunale creasse un tavolo di dibattito e confronto con i giovani musulmani dell’associazione Seconda Generazione.
Argomento “caldo” su cui ho deciso di dire anche io quello che pensavo - allontanandomi momentaneamente dalla postazione di Presidente del Consiglio, rispettando l’imparzialità del ruolo - e svolgendo la mia funzione di consigliere, come potete vedere nel video pubblicato.

Le mie osservazioni, già espresse nell’intervento nel blog, sono state fraintese e volutamente strumentalizzate dall’opposizione. Cioè, non si è voluto cogliere il contenuto dell’intervento. Ma piuttosto scambiare delle osservazioni per un atto politico.

Temo, infatti, che alcuni consiglieri abbiano confuso il piano personale e dialettico con quello politico.

Ribattono a quello che si dice come se tutto avesse una dimensione politica e, al contrario, non propongono alcuna alternativa agli atti politici. Forse perché non ne sono in grado? Mi rifiuto di crederlo.
Certo che, non si può continuare solo con dibattiti, discussioni, tavoli chiarificatori senza alcuna proposta concreta.

Così anche i temi della libertà di culto, della laicità dello stato, del rispetto dei diritti fondamentali e della parità uomo donna - tutti valori che stanno alla base del nostro vivere civile - si sono trasformati in una questione banalmente politica.
Una strumentalizzazione per dipingere una situazione in cui c’è la destra cattiva, che impedisce ai musulmani di pregare e la sinistra buona, che si mette totalmente in gioco per garantire il diritto medesimo.

Purtroppo tutto questo è un errore:
a) perché il consiglio Comunale di Treviso non è certamente il luogo giusto per parlare di tematiche che riguardano Costituzione, immigrazione, equilibri tra Stato e Chiesa, ecc.
b) perché la compattezza della minoranza è scricchiolata pesantemente con il rischio di reiezione della mozione già dai propri banchi.
c) perché dopo due ore di (inutile?) dibattito il proponente ha ritirato l’argomento

Pochi giorni fa Michele Serra su Repubblica ha scritto: “Se la parola-totem della sinistra, da molti anni a questa parte, è "complessità", a costo di far discendere da complesse analisi e complessi ragionamenti sbocchi politici oscuri e paralizzanti, comunque poco intelligibili dall'uomo della strada, quella della destra (vincente) è semplicità.”

Credo che i cittadini di Treviso meritino e si aspettino altro.

Mi rammarico di questo scivolone per due ragioni:
Anzitutto perché i cittadini ci hanno eletto per discutere dei loro problemi concreti e ci chiedono quindi, come amministratori locali, semplicemente di lavorare per migliorare la qualità della vita quotidiana.
Secondo perché il momento sociale ed economico che viviamo imporrebbe a tutti una concretezza che, al momento attuale, mi pare ancora tutta da costruire.

Prendo comunque un impegno, quello cioè di comunicare in modo più chiaro e diretto possibile il mio pensiero, in modo che non venga frainteso. Confidando che le minoranze prendano l’impegno ad ascoltare prima di giudicare.

Renato Salvadori

mercoledì 24 settembre 2008

La "questione islamica"

In occasione di un congresso su religione e libertà, il Patriarca di Venezia ha sottolineato come la nostra società si sia “culturalmente meticciata”: viviamo in un’Italia che è diventata in troppo poco tempo, e forse in modo troppo poco ragionato, multietnica. Con questa realtà talvolta problematica, ma comunque oggettiva, occorre fare i conti.

È di fatto inopportuno analizzare queste nuove dinamiche, senza prima aver ribadito fermamente e precisamente alcuni concetti che stanno alla base del vivere civile.
Poiché solo facendo riferimento a questo si può affrontare, in maniera lineare, la “ questione islamica” scoppiata in questi giorni a Treviso.

In Occidente, in Europa ed in Italia, esiste nei fatti, ed è acquisito dai comportamenti, una netta separazione tra religione e stato. Cioè fra tradizione religiosa e comportamento sociale.
Questo è scritto nelle nostre leggi e, anche se talvolta da una parte e dall’altra si verificano ingerenze e incursioni fuori dai propri confini, esiste un sostanziale equilibrio nella divisione di “ruoli”.
Così non è nella cultura Islamica.

Oggi un prete Italiano non farebbe mai politica dal pulpito e, se lo facesse, sarebbe ammonito sia dai fedeli che dalle cariche ecclesiastiche.
All’interno di una moschea questo è normale poiché, in quella cultura, non si è ancora giunti alla scissione laica che sta alla base del rapporto stato-chiesa proprio dell’Occidente.

Al contrario, è sociologicamente e storicamente dimostrato che proprio dalle moschee sono partite molte iniziative politiche spesso sfociate in violenza come le ultime due intifada in Palestina.

In Italia oggi pertanto, non si pone il problema se i credenti Islamici abbiano titolo a pregare, quanto piuttosto in che modo questa preghiera possa svolgersi nel rispetto della cultura, delle regole e delle tradizioni del paese che li ospita.

Queste considerazioni non nascono da sentimento razzista bensì dalla richiesta di rispetto uguale a quello che si reclama.
In Arabia Saudita (il paese della Mecca e quindi dell’intransigenza coranica) vivono due milioni di cristiani senza alcun diritto di espressione religiosa.

Per questo stupisce il comportamento di quei giovani di “seconda generazione“ che sono nati in Italia - hanno frequentato le nostre scuole e parlano bene non solo l’Italiano ma spesso anche il Veneto - ma si fanno interpreti di posizioni che poco o nulla hanno a che fare con questa loro, supposta, integrazione.
Perché, se è comprensibile che rivendichino il diritto a pregare, non è accettabile che lo facciano attraverso la forzatura di trasformare un parcheggio in luogo di culto. O che si spingano fino all’implicita minaccia di ricatto che la venuta a Treviso della televisione Al-jazeera, contiene.
Saranno anche di seconda generazione ma, ancorché nati qui, certo non sono, né si sentono, cittadini italiani nel momento in cui rifiutano la cultura corrente che è fatta di regole e tradizioni. Non sono inseriti in quel “sentire comune” o “ cultura guida” che distingue un popolo dall’altro.
Pare quindi che, in fondo, non amino l’Italia, non vi si siano integrati, non siano coinvolti nella cultura guida che ci caratterizza. Continuino infatti a rivendicare prerogative che sarebbero solo “diritti di separatezza”.

A malincuore occorre dir loro che, senza l’accettazione delle regole e del sistema di vita del posto, cioè senza integrazione, non c’è spazio per il dialogo. Questo lo dico con sincera amarezza poiché sono fermamente convinto che solo il dialogo possa consentire il confronto e la comprensione necessari superare la separatezza della multietnicità.

I giovani di “seconda generazione“ che vivono con consapevolezza questo territorio e la gente che vi ci abita, sono chiamati a prendere una decisione fondamentale: vogliono accontentarsi di “vivere accanto” agli italiani o al contrario di “dialogare con gli italiani“ cioè di portare a compimento il reale processo d’integrazione?

Nel primo caso avranno scelto la multiculturalità del ghetto, cioè il modello che l’America da sempre e la Francia delle banlieue recentemente hanno imposto, con tutte le sue conseguenze, su tutte i tempi lunghi dell’integrazione e il rischio delle improvvise fiammate di violenza. Un modello rivelatosi non utile né auspicabile ma pericolosamente dietro l’angolo, soprattutto in virtù dei comportamenti fin qui tenuti.

Agli antipodi c’è il dialogo. Scelta auspicabile ma finora non riscontrata.
Occorre ricordare che dialogo significa rispetto per la cultura prevalente (cultura guida) del paese; rispetto per le regole e loro applicazione; rispetto per i costumi e le tradizioni che guidano i sentimenti ed i comportamenti del luogo che ospita.
Dialogo significa affermazione delle proprie specificità, ma all’interno di un modello pre-esistente. Quindi, dialogo, significa pazienza ed adattamento.
E, a prescindere, occorre un’attestazione di rispetto e condivisione per i principi guida che regolano la vita civile occidentale: la separazione tra religione e politica, la parità di diritti tra maschi e femmine, il rispetto della donna, lo stesso diritto all’istruzione indipendentemente dal sesso, la monogamia, sono elementi di vivere civile imprescindibili e immodificabili.

Sapendo cioè, come scrive Raimond Panicar “…che il dialogo è possibile per chi ha radici profonde e riconosce nell’altro la capacità di portare verità.”


Renato Salvadori

venerdì 4 aprile 2008

UNA PROPOSTA FORTE PER TREVISO

DICHIARAZIONE di Renato Salvadori
Candidato alle Elezioni Amministrative Treviso 13/14 aprile 2008


Alcune provocazioni programmatiche sul sociale e sui giovani

Salvadori, in queste prime settimane di campagne elettorale, cosa l’ha colpita di più?
“L’incontro con persone e strutture di cui non immaginavo neppure l’esistenza, oppure realtà che conoscevo solo per sentito dire. Penso ad alcune associazioni di volontariato estremamente efficaci e ben gestite; ad alcune cooperative, spesso formate da giovani, che prestano un servizio alla collettività attraverso un modello di economia sociale; oppure a gruppi spontanei (ad es. gruppi d’acquisto, banca del tempo, banca del sapere, …) i quali, riflettendo sui propri bisogni, hanno trovato il modo per scambiarsi servizi destinati al miglioramento della qualità di vita”.
Quali conclusioni ne ha tratto?
“Intorno a noi esiste tutta una rete di persone, idee, proposte e fatti di cui non possiamo più ignorare l’esistenza. Poiché questi soggetti chiedono a gran voce di uscire dallo spontaneismo e dal volontarismo, e reclamano più attenzione da parte anche dell’amministrazione comunale. Sono pure pronti a riconoscerle il ruolo di capofila, purché questa si faccia carico della regia delle attività in essere”.
E quindi?
“Nei confronti del sociale, i nuovi consiglieri comunali dovranno assumersi un impegno preciso, per valorizzare l’esistente, senza disperdere inutili energie alla ricerca di soluzioni che, nei fatti, esistono già”.
A proposito dei giovani trevigiani, quale idea si è fatto?
“Dai contatti lungo la strada, nei posti di ritrovo, nelle riunioni organizzate ad hoc, emerge tutta la loro insofferenza per la politica, verso i candidati e verso i partiti. A mio parere questa non è una posizione di comodo né tanto meno qualunquistica. I ragazzi, i nostri figli, chiedono messaggi e proposte di senso compiuto. Suggerimenti, non imposizioni, su cui riflettere personalmente, trovando le ragioni del proprio impegno”.
Cosa propone a vantaggio dei giovani?
“Una delle prime azioni della nuova amministrazione comunale dovrà essere la creazione della “Consulta dei giovani e delle concretezze trevigiane”. Un luogo nel quale sia data a tutti la possibilità di esprimersi, apportando il proprio contributo al futuro di Treviso.
Sono infatti convinto che non vi sia futuro per chi, persona, famiglia, ente o collettività, non abbia un progetto di prospettiva almeno a dieci anni. Per questo occorre coinvolgere insieme i giovani e coloro che già sono concretamente impegnati nella soluzione dei problemi comuni. Così tutti ne trarranno giovamento”.
Lei personalmente, come si impegna?
“In questo processo non posso mancare, e sono sicuro che, a differenza di quanto successo qualche volta in passato, non mancherà neppure il coinvolgimento della civica amministrazione di Treviso. Invito anzi quanti lo desiderassero a contattarmi direttamente nel mio blog www.renatosalvadori.it oppure a scrivermi su info@renatosalvadori.it”.

COME AIUTARE I CITTADINI AD ARRIVARE A FINE MESE?

Treviso, 2 aprile 2008


DICHIARAZIONE di Renato Salvadori
Candidato alle Elezioni Amministrative Treviso 13/14 aprile 2008


COME AIUTARE I CITTADINI AD ARRIVARE A FINE MESE?
Idee e riflessioni del candidato Renato Salvadori

«In questo periodo l’informazione e l’attenzione dei cittadini sono puntate sui dati dell’inflazione in Italia, che sembra aver rialzato la testa, con tutte le conseguenti ricadute di minore capacità di acquisto per le famiglie.
Questa situazione non fa bene a nessuno. Non giova al mercato, che si rallenta ulteriormente, non fa gioco ai produttori, che vedono ridursi i propri sbocchi di collocamento, demoralizza i consumatori che si sentono, non solo più poveri, ma anche frustrati.
A poco serve cercare le cause rifacendosi alla particolare congiuntura economica, oppure all’andamento delle materie prime, oppure ancora ai costi della burocrazia o della fiscalità.
Occorre trovare soluzioni semplici, chiare, facilmente comprensibili.
Anche perché la sindrome della quarta settimana non è un’invenzione sociologica, ma una realtà con la quale un crescente numero di famiglie fa i conti, in maniera sempre più aspra e frequente. Lo dicono i benzinai, che vedono pieni all’inizio del mese e rabbocchi alla fine, i discount che rilasciano carte per pagamenti rateali, gli scontrini dei supermercati e dei negozi.
A maggior ragione questo vale nel momento del rinnovo dell’Amministrazione Comunale, in cui i temi legati al costo della vita entrano prepotentemente in campagna elettorale.
Cosa può fare quindi la Civica Amministrazione di Treviso per rispondere ai bisogni dei propri cittadini, in merito all’aumento dei prezzi? Sicuramente molto.

Ad esempio un accordo fra produttori agricoli, distributori e mercato ortofrutticolo all’ingrosso, per promuovere il consumo di prodotti tipici e locali - quindi a Km zero, ossia senza costi di trasporto come dice Coldiretti - venduti a prezzi concordati all’interno di una forchetta minimo/massimo, in relazione alla qualità del prodotto.
Oppure un accordo con la distribuzione alimentare, consentendo a questa di praticare sconti particolari, oltre a quelli già in essere, in determinati giorni della settimana oppure nell’ultima settimana del mese, in cambio di uno sgravio dei tributi locali.
Altre idee possono essere messe in campo nell’ambito di un nuovo e diverso rapporto fra pubblico e privato, mediato da un Consiglio Comunale sensibile sul tema, in cui si voglia conseguire l’obiettivo primario di risposte concrete, adatte a risolvere i problemi di tutti i cittadini».


RENATO SALVADORI – Candidato consigliere comunale a Treviso nella lista del Popolo delle Libertà
info@renatosalvadori.it - Cell. 334.2007814

mercoledì 19 marzo 2008

ANZIANITUDINE

Vi è mai capitato di essere in fila ad un negozio o in un ufficio avendo davanti un individuo che aggiunge sempre qualcosa alla domanda precedente? O di qualcuno che tenta impossibili conversazioni con la cassiera del supermercato mentre la coda preme, insofferente?
Sono scene di ordinaria quotidianità, sulle quali difficilmente ci si sofferma che però è indice della grande solitudine che c’è in giro. Solitudine di persone indaffaratissime che rincorrono la vita prese da mille attività, perché in carriera o semplicemente nella necessità di combinare le incombenze del giorno. Persone che alla sera e nel fine settimana si ritrovano con sé stessi, nella solitudine della propria casa o anche nel rumore silenzioso di qualche locale pubblico. Comunque soli, sempre soli.
Così quella solitudine cui bisognerebbe abituarsi, diviene un tarlo. Un malessere profondo che non sfoga da nessuna parte e, quindi, coglie ogni occasione per liberarsi all’esterno, alla ricerca del contatto umano, in qualsiasi luogo. Poi mano a mano che gli anni avanzano le famiglie, come le relazioni, si assottigliano, ed il lavoro perde quella funzione di contenitore ammortizzante che prima accompagnava molte ore della giornata. Allora si fa largo quella che io chiamo, “anzianitudine”, che è un misto di solitudine e anzianità. Anzianitudine spesso vissuta con disperazione poiché s’accompagna alle limitazioni del corpo, alla perdita dei punti di riferimento personali e familiari e, spesso, alla riduzione della capacità di spesa, che in sé contiene la possibilità di creare, anche se artificialmente, relazioni interpersonali. E’ così che nel tempo l’anzianitudine diviene un modo di essere. Quasi un ripiegamento autistico dentro ad una vita che è stata e che non è più. Forse è necessario trovare un po’ di tempo per fermarsi a riflettere su questa condizione che, magari oggi non ci appartiene, ma può divenire il nostro stesso modo di essere da qui a qualche tempo. Perché l’anzianitudine non si modifica dentro alle case di riposo, con la compagnia di altri che, come te, sono afflitti dalla stessa inquietudine. Né con il trattenere figli o parenti dentro a dinamiche che ne condizionano la vita ed il destino personale. Né rifiutando la vita che contiene, sia la morte che l’abbandono. Però è possibile prendere atto di questo, considerandolo come un fatto che può accadere a ciascuno di noi.
E’ il nostro vivere sociale che deve imparar a tenerne conto. Al di là dei pur meritori centri per gli anziani e delle iniziative ludico-ricreative che i comuni mettono a disposizione per i cittadini meno giovani. Probabilmente vanno create le condizioni affinché persone singole, specie se anziane, che si sono liberamente scelte, possano condividere la loro anzianituduine rendendola meno frustrante. Ad esempio con iniziative degli enti locali, mettendo a disposizione appartamenti che possono essere autogestiti da due o più persone. Oppure abbattendo tasse e gravami fiscali per chi volesse dare alla propria casa di abitazione identico utilizzo. O anche assegnando provvidenze specifiche come già oggi avviene per gli anziani accuditi in famiglia.
Per consentire a tutti così quella qualità della vita che non è solo benessere materiale ma soprattutto “ benestare personale”.

Ambiente e fanatismo

La catastrofe ambientale è, davvero, dietro la porta? Hanno ragione stampa e televisione nel dire che, quest’ultimo inverno così caldo ed anomalo, è un ulteriore indicatore di un processo senza ritorno? Esattamente come i ghiacciai che sono quasi spariti?
Forse per questo il WWF ha presentato una serie di dati assolutamente preoccupanti, che in termini di proposta finale, hanno portato ad immaginare una “….. riprogettazione dell’attività umana” per quanto riguarda agricoltura, industria e turismo così da favorire il rafforzamento della capacità dei sistemi naturali di resistere al cambiamento. Da cui un “….incremento dei bacini fluviali e delle vie di esondazione” prevedendo azioni di riconversione agricola cambiando coltivazioni, dal frumento al mais.
Argomenti che toccano le persone, le preoccupano ponendole, con una nuova attenzione, di fronte a questi temi. C’è quindi un bisogno di approfondire per comprendere le ragioni del governo inglese che immagina una recessione devastante a causa di un clima impazzito che uccide l’economia. Mentre discorsi opposti fanno gli americani che ratificano ma non praticano gli accordi di Kyoto ritenendo solo catastrofismo, le previsioni di sconvolgimento climatico.
Qual’è allora lo scenario possibile per gli abitanti di questa provincia che ha sperimentato le pesanti inondazioni a Motta di Livenza e le trombe d’aria di Montebelluna che hanno profondamente sconvolto il territorio minando la sicurezza dei cittadini?
Ha ragione il WWF che chiede di cambiare vita ed abitudini o possono bastare piccoli accorgimenti nella vita di tutti i giorni?
Così, se le domeniche a piedi non hanno alcun significato rispetto all’abbattimento degli inquinanti, possono sensibilizzare le persone verso un utilizzo responsabile dell’auto. Finché un provvedimento come il “ bollino blu “ non diventa elemento di confusione o, peggio, strumento di scontro politico. Come le inondazioni che allarmano e spaventano senza trovare sufficienti riscontri all’interno dei Piani Regolatori che, non sempre, si preoccupano della salvaguardia dei fiumi e del loro alveo.
Fiumi in secca e morie di pesci colpiscono, come schiaffi, l’opinioni pubblica preoccupata dalla possibile, futura, mancanza d’acqua. Ma nulla si fa per bloccare lo scempio delle fontane a getto continuo che rallegrano, con il gorgoglio dell’acqua spesso usata solo per tenere in fresca il cocomero d’estate.
L’ambiente non ha bisogno di fanatismo ma neppure d’inerzia che non informa e quindi si fa complice di comportamenti scorretti.
La responsabilità ambientale non ha un unico padre, quindi non può essere posta in capo alle sole attività produttive. E non può bastare il solo richiamo alla morigeratezza ed il ritorno ad un passato col trasporto a cavalli che può salvare il pianeta.
Occorre andare oltre. Ricordandosi della capacità di adattamento della natura ed insieme il ruolo della tecnologia. L’uomo ha sempre fatto la propria parte: inquinando e consumando da un lato ma anche, innovando e recuperando, dall’altro. Quindi la partita ambientale va giocata con tanta sensibilità, ma anche con tutta la lucidità dell’uomo per accompagnare le trasformazioni guidando i fenomeni.
Motori a più basse emissioni, uso di nuove tecnologie ed anche delle bio-tecnologie, energie rinnovabili e nuovi materiali di consumo ( è proprio cancellato il nucleare? ) possono fare una grande differenza. Cambiando completamente lo scenario.
Quindi nessun fanatismo. Solo la voglia di guardare oltre la siepe senza paura del buio.