mercoledì 12 novembre 2008

I giovani: facciamo incontrare quelli di oggi e quelli di allora

I giovani protestano non perché credano in qualcosa, ma perché non hanno voglia di fare niente. Invece che andare a scuola a imparare, preferiscono stare stravaccati per terra a fumare, ad ascoltare musica -sempre che quel rumore si possa ancor chiamare musica - e rimanere teste vuote.

Hanno abbigliamenti sempre più indecenti. Capigliature ridicole. Posture scomposte e un linguaggio incomprensibile.
Bevono tanto, forse troppo e assumono sostanze stupefacenti fin da ragazzini.

Sono buoni a nulla e, c’è da scommetterlo, non combineranno nulla di buono nella propria vita.

Probabilmente quasi tutti, in qualsiasi epoca, hanno sentito da giovani i padri parlare così. Chi ha attraversato fasi storiche di cambiamento sociale, come il ‘68, ha subito commenti per il proprio taglio di capelli, per i propri progetti sul futuro, per la musica che ascoltava ecc.

Eppure siamo tutti cresciuti facendo insegnamento delle esperienze e soprattutto di quegli “errori di gioventù” che sì talvolta influenzano una vita intera, ma che tanto fortificano carattere e tempra di donne e uomini.

Non voglio fare l’avvocato difensore dei giovani per il semplice motivo che sono convinto non ne abbiano bisogno. Soprattutto in questo particolare momento in cui i ragazzi sono al centro dell’attenzione mediatica per le contestazioni in piazza.

Credo che, in generale, sia di scarsa utilità parlare dei giovani, perché finiremo inevitabilmente a stabilire non solo le regole secondo cui noi crediamo debbano improntare il loro comportamento, ma anche il modo in cui devono interpretare e fare proprie quelle regole.

Ma abbiamo titolo per ciò? Soprattutto ci conviene farlo?

Forse più che parlare dei giovani, dovremmo parlare con i giovani perché solo ascoltandoli e capendoli potremmo evitare di cercare di sostituire i nostri valori ai loro.

Questo capita perché pensiamo che i nostri valori siano scolpiti sulla pietra, siano giusti e inamovibili, immodificabili. Perché dimentichiamo ciò che siamo stati e ciò che erano i nostri padri: abbiamo dimenticato che i nostri primi capelli lunghi infastidivano i nostri genitori almeno quanto atteggiamenti e mode dei nostri figli infastidiscono noi. Abbiamo dimenticato che anche ai nostri tempi, droga e sballo erano per alcuni all’ordine del giorno e quanti nostri amici hanno purtroppo esagerato, finendo male.
I nostri valori si sono scontrati con quelli dei nostri padri e oggi tocca ai nostri figli e noi siamo dall’altra parte della barricata. Guardando le cose da questo punto di vista ci rendiamo conto che non esistono valori scritti sulla pietra se non quelli riferiti alla dignità, al rispetto ed ai diritti umani. Quei valori per cui proprio noi, da giovani, abbiamo lottato.

Forse di questo è utile parlare con i nostri giovani, non per imporre, ma piuttosto per confrontarci sulla base di quella diversa sensibilità che, da sempre, divide le generazioni.

I giovani sono maleducati? Ascoltiamoli di più e forse urleranno di meno. Non hanno rispetto per sé stessi e per gli altri? Costruiamo prospettive in cui possano credere e per cui valga la pena sacrificarsi. Sono concentrati sul tutto e subito da consumare con ingordigia? Diamogli concreto esempio, col nostro comportamento, che si può essere diversi.
Non facciamoci prendere dalla paranoia di dover cambiare il mondo. Basta semplicemente aggiustarlo un po’.

Cominciamo con il facilitare la vita a chi lavorando, diventa genitore. Fornendo modelli che, a partire dal nostro comportamento di “ grandi” , siano comprensibili ed “ecologici”.

Scopriremo alla fine che nella partita potremmo ricevere molto più di quanto non diamo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

concordo nella visione d'insieme.
David Borrelli